sabato 13 ottobre 2012

IX) Amo Orlando, monsieur fou

Come tutti anch'io amo molte mùsiche. Ad esempio quelle di Orlando di Lasso, il fiammingo vivuto tra il 1532 e il 1594, il mùsico nevròtico: "Monsieur fou", come scrive di sé. Intellettuale cosmopolita e maccheronicamente poliglotta, attento e sensìbile alle moltèplici correnti letterarie e poètiche che àgitano e vivìficano la seconda metà del sècolo dècimo sesto, amico a Pierre Ronsard ed a quelli della Pléiade, frequentatore di nòbili e sovrani, dotato d'un humour rabelesiano eppure profondamente credente e affatto coinvolto nel clima spirituale dettato dalla Controriforma tridentina. Il suo genio abbraccia tutti i gèneri: dal mottetto al madrigale, dal Lied tedesco alla villanella italiana, dalla sacra messa alla licenziosa od oscena chanson francese. La sua, una produzione gigantesca di oltre duemila numeri...

S'è detto d'Orlando che è il mùsico più rappresentativo dell'età della Rinascenza, il più profondamente umano: assai più del Palestrina; curioso di tutto, aderente ai vari stili onde poter esprìmere le polièdriche nuances del proprio pensiero; una vetta dell'elevatura di Bach, Mozart e Beethoven, purtroppo coll'esiziale handicap di non rientrare nella storia di quei tre lisi sècoli - Sei, Sette e Ottocento - la cui appartenenza pare che la cultura e il consumo musicale contemporanei pongano quale condizione necessaria e sufficiente perché un compositore sia studiato, valutato, eseguito ed amato.

E di Lasso amo, sovr'a tutto, i "Salmi Penitenziali" che tendono ad una trasparenza sonora e a una lucentezza spirituale sì pregnanti che se diffusi riscuoterebbero clamoroso consenso tra i giòvani del nostro tempo insulso, vogliosi forse di un messaggio per così dire "consolatorio", ovvero di un'arte demistificata volta a rispòndere all'ansia indistinta d'eterno che pare serpeggiare e variamente pulsare nella loro esistenza vieppiù scempiata e reificata. I Salmi, i cui segmenti melòdici si sciòlgono in bagliori diatònici, oscìllano come in una aspettativa trascendente, tra lunghi silenzi e meditazioni, percorsi in ampi spazi da una grande sazietà di pace; e soltanto di lontano s'avvèrtono gli echi delle pene del mondo. Alto e solenne magistero lassiano, esaustivo della gran civiltà fiamminga, in una sìntesi ove non sono estranei gli influssi della vocalità propria della Scuola veneziana e romana, ma reinterpretata in un clima di più dòcile e stemperato cromatismo. Di rado vi è sfiorata l'esuberanza dei volumi fònici palestriniani: una cifra di pùdico lirismo e un elegìaco pastello attènuano le subitanee accensioni che la piena del temperamento e la commozione dell'ispirazione potrèbbero elevare ad emblema dell'impulso creativo.


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