S'è detto d'Orlando che è il mùsico più rappresentativo dell'età della Rinascenza, il più profondamente umano: assai più del Palestrina; curioso di tutto, aderente ai vari stili onde poter esprìmere le polièdriche nuances del proprio pensiero; una vetta dell'elevatura di Bach, Mozart e Beethoven, purtroppo coll'esiziale handicap di non rientrare nella storia di quei tre lisi sècoli - Sei, Sette e Ottocento - la cui appartenenza pare che la cultura e il consumo musicale contemporanei pongano quale condizione necessaria e sufficiente perché un compositore sia studiato, valutato, eseguito ed amato.
E di Lasso amo, sovr'a tutto, i "Salmi Penitenziali" che tendono ad una trasparenza sonora e a una lucentezza spirituale sì pregnanti che se diffusi riscuoterebbero clamoroso consenso tra i giòvani del nostro tempo insulso, vogliosi forse di un messaggio per così dire "consolatorio", ovvero di un'arte demistificata volta a rispòndere all'ansia indistinta d'eterno che pare serpeggiare e variamente pulsare nella loro esistenza vieppiù scempiata e reificata. I Salmi, i cui segmenti melòdici si sciòlgono in bagliori diatònici, oscìllano come in una aspettativa trascendente, tra lunghi silenzi e meditazioni, percorsi in ampi spazi da una grande sazietà di pace; e soltanto di lontano s'avvèrtono gli echi delle pene del mondo. Alto e solenne magistero lassiano, esaustivo della gran civiltà fiamminga, in una sìntesi ove non sono estranei gli influssi della vocalità propria della Scuola veneziana e romana, ma reinterpretata in un clima di più dòcile e stemperato cromatismo. Di rado vi è sfiorata l'esuberanza dei volumi fònici palestriniani: una cifra di pùdico lirismo e un elegìaco pastello attènuano le subitanee accensioni che la piena del temperamento e la commozione dell'ispirazione potrèbbero elevare ad emblema dell'impulso creativo.

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