lunedì 15 ottobre 2012

XXII) Vienna felix

C'è un elemento straordinario nella Costituzione americana: la categòrica affermazione del diritto inalienàbile dell'uomo alla "ricerca della felicità". Nel regno della mùsica c'è stata una città che ha voluto perseguire e realizzare detto fine: Vienna, dai tempi di Mozart ai tempi di Johann Strauss.
Vienna, ovvero l'"Austria felix" degli Absburgo, da Maria Teresa a Francesco I, ottimo reazionario, ed a Francesco Giuseppe. Il quale infine avvolse se stesso, la sua corte ed il crepùscolo della gran civiltà danubiana - era ormai la "finis Austriae" - nella dimèntica voluttà, nei ritmi capricciosi, nei sentimenti distratti e fatui dei valzer, dei galopp, delle polche. Dal minuetto mozartiano, accompagnato dai nèttari di Boemia, all'operetta della belle époque austro-ungàrica dissetata a suon di champagne ("Es lebe Champagner der Erste"!), Vienna è stata il salotto della felicità. "Questa città, paradiso senza foglia di fico, senza serpente e senza àlbero della conoscenza", annotava verso metà Ottocento lo scrittore tudesco Heinrich Laube, spettatore fascinato di pirouettes et tours ardis.

La felicità era mùsica, e la mùsica era danza, nel capoluogo della felicità. Dapprima nobili di corte e principesse, in balli ove le mani soltanto giungevano a sfiorarsi: e già potevano èssere brìvidi assai temìbili da un Settecento illuminato ma troppo illuminìstico. Certo, si trattava di minuetti, ché il valzer, ancorché bramato, era in sospetto di perdizione. Tant'è che il giovane Werther nel 1774 solennemente proclamava: "Alla donna che amo, il valzer non consentirò mai, anche a costo della vita, di ballarlo con altri all'infuori di me". Sarèbbero bastati pochi decenni, e non soltanto la sua Lotte, ma l'intero Congresso di Vienna avrebbe discusso a ritmo di valzer.

Dopo gli aristocràtici scesero in campo, a volteggiare e partecipare all'apoteosi musicale della metròpoli,  potenti borghesi, banchieri, magnìfiche signore e fior di fanciulle allo sbocciare de' diciott'anni: quest'ùltime per apprèndere la fragilità, gli altri per gioire del "carpe diem". Giunse altresì il tempo dei tenenti seduttori, dei buròcrati azzimati e, nel vòrtice della felicità, si concèssero miraggi persino alle sartine, tutt'insieme uniti dall'ebrietà del Danubio (che fosse liricamente bleu o realisticamente giallastro, poco o punto importava). La mùsica invitava alla gentilezza ed alla sensualità. Quel valzer, o sia quella "duorum in gyrum saltatio", s'estendeva all'intera cittadinanza e da lì si propagava nelle terre di Cacania, inventate e pitturate dalla monarchìa imperial viennese, fùlgido emblema della Mitteleuropa...

Come ogni cosa bella o, più veramente, presunta tale, anche quell'esultanza musicale volse un giorno al tèrmine. Essa però era ancora sì forte, durante l'agonìa, che il sentimento della "Sehnsucht", o della nostalgìa per ciò ch'era stato, invece di declinare e appartarsi in una dòcile sordina, si gettò nel gorgo dell'epicureismo più odoroso di vita; e Vienna ancora una volta si vestì a festa affidàndosi a Strauss "il grande", ai valzer del quale portàvano profondo rispetto Wagner e Brahms, Liszt, Mahler e Ravel... Perché tanta ammirazione da parte di compositori sì rilevanti per un facitore di ritmi ternari? Alla domanda, posta più volte e da più parti, aveva dato risposta un "Inno" di Hoelderlin: "Denn schwer ist zu tragen das Unglueck, aber schwerer das Glueck", ("Poiché è difficile reggere l'infelicità, ma ben più difficile è reggere la felicità")...

Trascòrrono gli anni. Ormai a tèssere l'elogio della felicità musicata da Strauss non sarèbbero stati più personaggi dai marmorei mustacchi bensì vèdove allegre e conti tipo Danilo Danilowitsch, ratti tombeurs des femmes che prediligèvano gli ambienti parigini di Chez Maxim's e la calda compagnia delle Froufrou, Dodo, Margot... Da Strauss a Franz Lehàr. Il kitsch, il cupio dissolvi, l'apres nous le déluge, intonati per la banalità con tenerìssimo coraggio. Postreme gocce del wiener Blut, il sangue viennese. Di là era in attesa l'angoscia espressionista: le melodìe danubiane sarèbbero state sostituite dalle prese di coscienza della Seconda Wiener Schule. I fiori dipinti da Hans Makart sarebbero appassiti negli àcidi tratti da Oscar Kokoschka e dalla Secessione...

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