martedì 16 ottobre 2012

XXXIII) Abbado e Muti


Claudio Abbado e Riccardo Muti: due musicisti di grande civiltà, permeati d'una forte cultura umanìstica e di un eccellente istinto direttoriale. Dotati di quell'impalpàbile "carisma" che vale di presupposto per chiunque ambisca salire sul podio con le carte in règola. Ma non v'ha dubbio che divèrgono le loro personalità artistiche. C'è nel Muti musicista una fucina di gioia e d'intraprendenza, un'ànima tumultuante di suoni, una kermesse di poètica musicale che il maestro meridionale, a prescìndere dai crudi dati anagràfici, lo chiameremmo ancora "il giovane Muti". A differenza di Abbado, risiede in Muti fin dalle origini una sòrta di nicciana inclinazione alla solarità mediterranea, al paesaggio vìvido e acceso, ai frutti di una terra di verginale e spudorata bellezza meridionale: musica, canto e salubrità. Le vampate di Verdi non sono mai tanto rapinose come quando a scolpirle è Muti. E però ciò che più vale in lui è la piena consapevolezza di questa ispirazione pànica: tale da indurlo allo stretto rigore di un atteggiamento critico idoneo a governare e controllare l'emporio dei suoi anèliti, delle sue formidabili bramosìe. A tal propòsito il suo Mozart appare d'affascinante sfaccettatura e levità poètica intrise di melanconìa: come il sole che tramonti nel verdeggiare dei campi estivi.

 La tempra artìstica, musicale e direttoriale di Claudio Abbado si diversìfica assai, fino a raggiùngere talvolta una maniera antitètica, da quella di Muti. Se Muti è un Corneille, Abbado è un Racine. Se il primo è un romantico, il secondo è un razionalista illuminista. Se Muti è un poeta lìrico, Abbado è un architetto utòpico del Settecento. Per Muti la mùsica è fondamentalmente ispirazione, un "voler èssere"; per Abbado il linguaggio dei suoni è un "dover èssere", e poggia su un òrdine indefettìbile. Il pathos Muti lo trae dalla spontanea effusione e svolgimento del testo; Abbado lo costruisce e modella sulle motivazioni di òrdine lògico-formale che lo stesso testo comprende. Per Abbado la bellezza tanto più rifulge e provoca l'ascoltatore quanto più è conseguenza necessaria e tetràgona di un impegno raziocinante e di un èsito intellettuale. Aleggia uno spìrito di matematica nel canto abbadiano, tant'è che il suo Rossini risulta insuperato, ed è la ragione più sottile del valore del maestro milanese. Del quale non stupisce dunque la predilezione, manifestata in varie occasioni, ad  affrontare quelle òpere sovente dure e sofisticate dei compositori novecenteschi e contemporanei che di norma Muti rifugge d'istinto. Sotto tale profilo Abbado sembra più attuale del "rivale", più interessato alle esperienze della modernità: la sua orchestra più lùcida e affilata, il suono più trasparente e virtuosistico. Il suo Mahler è straordinario per acutezza di lettura e tràgica maestosità...

Non è un caso se Muti è adorato soprattutto dai viennesi, umanità esuberante; Abbado dai tedeschi, produttori indefessi di sistemi e cultori sopraffini della pura sistematicità.

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