domenica 14 ottobre 2012

XIV) La follìa di Rossini


Nel colmo della notte più cupa e romàntica, o all'acme del più tràgico evento; nel momento in cui i sentimenti con più violenza sono percossi ed incatenati dalla disperazione, o in cui più vasto e soave il canto si effonde e dilaga dall'ànima estasiata, accade - nella musica di Rossini - che d'un tratto su quei sublimi e sconfinati orizzonti spùntino e barbàglino sonagli incontinenti, variopinti campanelli, disfrenate turcherìe, caravanserragli sonori, ritmi argentini, vispìssimi sciami di motivi scavezzacolli e fuoco di timbri irrefrenàbili. La sensibilità moderna, ormai difforme dalle crude piroette emotive (che un tempo la rendevano atlètica, dotta e elegante), resta di stucco, come attònita e scandalizzata a fronte di siffatta intrusione, che appare d'un sùbito insostenìbile intruglio di sacro e profano, antinomìa irresolùbile, smacco salace e spudorato, giuoco enigmàtico troppo involpito.

 In effetti, nel ratto succèdersi, o nel connubio tout-court, di tràgico e festèvole, di trascendenza e mondanità, d'àulico eloquio e battute piccanti, sembra èsserci appena sotto la superficie il vermiglio zampino della follìa. Una fredda e invitta follìa che impasta, plasma e governa un'utopìa musicale tra le più arcane e perfette che la storia del linguaggio in suono occidentale abbia mai elaborato. In Rossini si àgita con movenza d'assoluta compitezza, al pari d'ogni gran follìa, una sorta di romanticismo e surrealismo, di classicismo e cubismo, il senso regale della tradizione e la provocante coscienza dell'eterno futuro che si riaggancia, quando meno ci se l'aspetti, al convoglio delle orìgini. Il frutto della mùsica rossiniana allora non può che èssere un ordine superiore, fuori della norma; una figura astratta e geomètrica; una trama impalpàbile ed aerea che règola, secondo modi propri, la configurazione, il diàlogo e il ritmo degli opposti sentimenti che àbitano la realtà dello spìrito umano.

Se non ci si dispone a compiere detto salto di qualità, ossìa ad osservare il mondo interiore da questa angolazione estètica eccezionale; se non ci s'impossessa di tale "follìa" rossiniana che ha sconvolto le usuali cadenze dell'aspettativa ed abbattuto i consueti scomparti della sensibilità onde trarne immàgini  più lìmpide, teoremi più stringenti e catarsi più ardite, si corre il rischio di non comprendere il possente fàscino dell'universo del Pesarese.

(Sia rilevato a màrgine che ci vògliono dieci Bellini, venti Donizzetti, trenta Verdi per fare un Rossini).

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