lunedì 15 ottobre 2012

XXVI) Il mostro


Al mio amàbile "lettore" Duccio Pafumi.
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Dell'anno di NS 1936 è la "Quarta" di Dmitrij Shostakovic: sinfonìa turgida e ghiotta. Sì eccessiva, sì opima e ciclòpica da travolgere e spazzar via al suo irreprimìbile passare quanti dubbi, trèpidi tergiversari, fìsime esegètiche e delicatezze crìtiche le si oppòngano: per altro invano. Attenzione: i cachèttici, gli smunti, i macilenti - frolli & obliqui tutti - se ne mèttano d'un sùbito al riparo: ché occorre buona e robusta costituzione a fronteggiarla e domarla: nervi d'acciaro, mùscoli atleticìssimi, sangue gagliardo. Temerarietà contro temerarietà, smoderanza contro smoderanza. Che qui si va per picchi, sòrbole!...

Eccola, la "Sinfonìa in do minore op. 43", appalesarsi pasciuta e rubiconda come una paesana ottocentesca delle Fiandre, o della Bassa. Anzi no: èccola spanta e pulsante come una fantasmagòrica fèmmina felliniana che, impreveduta, aggalli enorme dal silenzio di una plaga diserta; e sotto un cielo plùmbeo rida, faccia ridicolezze, dileggi, sberleffi ed imbrogli, si dimeni clownescamente, i rossi capelli acciuffolati in plùrimi cernecchi, il volto smargiasso e bistrato, gaudiose le nari, le gran borse agli occhi bovini sedute sulle pèndule guance porporine, le labbra fremitanti esuste, le poppe immani e mollemente svolanti, la veste interrotta e bizzarra: a contenere, o aizzare vieppiù, la sarabanda del suo subisso carnale...

Le sòrgono dentro e fuorièscono alla bitorzoluta superficie moltitùdini guerresche di violini, viole violoncelli ed imi contrabbassi; lampèggiano schiere inferocite di trombe e tromboni; deflàgrano fucilerìe timpanìstiche ed inauditi putiferii di grancasse; voltèggiano insatanate torme clarinettìstiche e venèfiche filze di corni metàllici, d'oblunghi òboi e efferati fagotti tempestati di castagnole: tra guizzi d'incandescenti arpe lascive: tra fulminìi d'ottavini flagellanti, sotto l'incalzare di una rìtmica matta e cocciuta... Promana attorta la buriana sotto parvenza di meraviglièvole giga nello squassato paesaggio sonoro.

Ne zampìllano mostri, càrole d'atre chimere e fatture avventate al pùbblico degli ascoltatori-spettatori. Vòrticano sàgome temàtiche allampanate: incede una soffocante foltezza di motivi franti che d'un botto s'accàsciano e si sfanno in quèrule litanìe grottesche, che manco hanno finito il loro "ahi! ahi!" che con maligna sfrontatàggine risòrgono, ricompattati, a membruti proclami bèllici. Tristezze fasullìssime e baldorie apocalìttiche, barbarità tonitruanti e sarcasmi all'àcido prùssico, lai e scherni, valzerini scollacciati e marce tartaree, volgarità canzonettìstiche e madornali squisitezze di scrittura, mòduli d'avant-garde e reperti d'accademia: echi di Mahler, e Prokof'ev, e Stravinskij. E' un còsmico calderone ove l'uomo - l'immàgine sua già fulgida un tempo, ora straziata - è dal linguaggio shostakoviano compianta e irrisa, carezzata e vituperata, amata e odiata: in un ginepraio d'immediati voltafaccia esemplari...

Già, ça va sans dire, intruppati nei tetràgoni apparati staliniani, i crìtici soviètici insòrsero allora unìvoci e cruenti contro i contenuti e le forme dell'obesa "Sinfonìa", condannata quale mùsica degenerata e degenerante, filoccidentale, affatto nemica ai gusti sani e alle coscienze probe dell'educande masse socialiste e progressiste, per le quali era d'uopo, ad inappellàbile giudizio de' capi dell'Estètica statale, mùsiche cartolinesche, cantari manierosi e accenti apologètici. E Shostakovic, artista di valore e però tempra di pusillànime - accade, sì, accade anche fra gente d'acuità e talento - fece pùbblica e disonesta autocrìtica: tirando a campar la vita sua meschina ed impaurita, umanamente costipata d'untuosi compromessi estètico-ideoloòici, magari amareggiati da gli effetti immedicàbili dell'interiore e grave intrico...

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