lunedì 15 ottobre 2012
XXI) Malìe dell'operetta
Ma che cose magnifiche: da "Orfeo all'inferno" di Offenbach a "Il pipistrello" di Strauss, da "La bella Elena" del primo a "Lo zìngaro barone" del secondo, da "Le campane di Corneville" di Planquette a "La vèdova allegra" di Lehàr...
Parafrasando Karl Kraus, potremmo dire che l'operetta viennese e francese fin de siècle gode di una caratterìstica tutta sua: ci fa provare per la prima volta stati d'animo di cui, non sappiamo come, ci sembrava d'aver già il ricordo. Per ascoltare ed amare l'operetta viennese non è infatti necessario aver la privilegio di bisnonni triestini che ci àbbiano narrato e tramandato la favola mitteleuropea dei loro bei tempi andati e apparentemente "perduti": e tanto meno è indispensàbile aver indagato su i nodi della crisi socio-polìtica del mondo danubiano o sulle temàtiche culturali della Decadenza austrìaca. Così come per ascoltare l'operetta parigina non occorre immèrgersi nell'esprit del Second Empire e approfondire le ragioni della disfatta di Sedan, intrugliata di can-can e galop. Basta invece, se si vuole, far posto alla nota indulgenza dei sentimenti, concèdere loro appena un soffio di vanità e di mondano compiacimento, slacciare se mai il corsetto alla musa della sensibilità affinché ci visiti lìbera da ogni pregiudizio, e non temere malizie e malìe di melanconìa ed allegrezza, intrecciate e svagate insieme, che di sicuro compariranno da questo lieve ed inappagabile abbandono emotivo.
Rammento che fu la mia professoressa di Lettere al Ginnasio la prima ad insegnarmi che "Barocco", "Classicismo", "Romanticismo" sono definizioni non tanto di stagioni culturali ed artìstiche, storicamente determinate, quanto d'atteggiamenti eterni della vita dello spìrito. Ebbene l'ascolto dell'operetta ci dimostra - a suo modo e nella sua misura - che anche la "Belle époque" non tanto è stato quel periodo breve fra Otto e Novecento, postrema spiaggia di lieta follìa prima dell'avvento del secondo e tràgico medio evo dell'Occidente, quanto una costante e insopprimìbile esigenza dei piaceri tratti dal gioco sentimentale, un anèlito leggiero alle piccole ebrezze, ai minùscoli vòrtici e agli spumini dell'esistenza quotidiana, per l'occasione vestita a festa dalla premiata Maison de couture della Borghesìa. E' per tale ragione che l'operetta viennese, tenace lusinga della "Belle époque", sa sollecitare stati d'animo che noi, occultamente, confusamente e con segreta ansia, abbiamo sempre intuito ed alimentato, in attesa di vederli riflessi in un qualcosa di oggettivo, di esterno a noi. E' per tale ragione, ancora, che quanti ascòltino l'operetta e ossèrvino questo specchio opaco delle proprie nostalgìe, ricevono ricordi e immagini immediate di un proprio modo d'èssere, privato e sommerso. Uno spettàcolo fuor di dubbio "minore" rispetto al grave melodramma; permeato di contenuti effìmeri, più ricamati che spiegati, fràgili come bolle di sapone; eppure spettàcolo insostituìbile nel conforto e nell'elogio della nostra innata fievolezza, dei nostri prepotenti diritti al godimento della futilità.
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