Le celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia sono state notoriamente rivestite delle note del "Nabucco" ("Nabucodonosor") di Giuseppe Verdi, diretto all'Opera di Roma da Riccardo Muti. Comprendiamo le ragioni della scelta sotto il profilo stòrico e dei contenuti patriòttici, ma a scanso d'equìvoci non si può non rammentare che questo melodramma del 1842 costituisce un cimento giovanile del compèositore bussetano. Giovanile e minore. I meglio lavori verdiani sono ancora assai rimoti nel tempo e per sostanza d'arte. E nulla vale, al fine d'una corretta valutazione estètica, che sia òpera fàcile e popolare; che sia stata assunta come formidàbile arma risorgimentale; che vanti una pàgina corale di forte effetto emotivo quale "Va, pensiero, sull'ali dorate": sola pagina che tenda a staccarsi dalla mediocrità delle altre.
"Nabucco" è frutto di un Verdi sommario nella scrittura sovente bandìstica; d'una magniloquenza tutta esteriore, talvolta rozza. D'altronde, esso è spia d'una marcata involuzione linguìstica rispetto all'arte di Bellini e di Donizetti, per tacere dell'assoluta purità già conseguita dal genio rossiniano. E Verdi componendo "Nabucco" guardava per certo al "Mosè" di Rossini ma lo faceva come lo può fare l'implume allievo a fronte dell'elisio maestro. Né a sostener "Nabucco" c'è il librettaccio di Temistocle Solera, risìbile per forma e contenuto, spoglio d'ìntime motivazioni e d'una sia pur rudimentale psicologìa. "Nabucco" è òpera di virulenza fònica, sistemata a colpi d'accetta; è un'arsione impudica non dissìmile da un'esaltata procacità donnesca. E' mùsica estremìstica, canto fazioso, suono illiberale e selvaggio. Se mai, il "fàscino" suo risiede in un orgoglioso "primitivismo", in un sapore selvàtico e acre, in una smania incontinente, in una polpa allo stato brado che non tanto addita la tragedia esistenziale del pòpolo ebraico quanto la ribellione, non di rado caòtica, d'una terra padana prima d'èsser sottomessa alla coltivazione sapiente e finalizzata. E manco è lècito affermare che sia questa una forma di "espressionismo", un "urlo interiore" ch'erompa da disperazione d'ànima o da tràgico esaurimento di linguaggio, come avverrà al principio del Novecento. Il Verdi di "Nabucco" è ansia di far molto avendo a disposizione strumenti soggettivi inadeguati al pretensioso cimento.
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