martedì 16 ottobre 2012
XXXII) Il "Bello"
E' più che evidente che non è possìbile giudicare "belli" un film, una commedia, un quadro, un romanzo, una musica, un lago, un'aurora, et cetera, se non si sa che cosa sia il "Bello", così com'è impossìbile affermare che una minestra è troppo salata se non si sa che cosa sia il sale, ed un uomo uno "stronzo" se non si sa che cosa sia la "stronzaggine". In effetti, "arduo cimento è (stabilire) che cosa sia il Bello", avverte Platone a conclusione dell'"Ippia maggiore". Ed è trascorso più di un sècolo da che la declinante cultura occidentale, nella fattispecie l'Estètica, ha smarrito un qualsivoglia concetto del "Bello".
Nell'antica Grecia, se il pensiero estètico della Scuola pitagòrica fondava il "Bello" sul concetto di "armonìa", il citato Platone condannava l'arte nel Dialogo della "Repubblica" ma l'esaltava nel "Cratilo" e vieppiù nelle "Leggi". Al di là del contraddittorio bilicare del giudizio, il filòsofo idealista faceva riferimento alla "mìmesi", o imitazione, della natura: "L'artista non crea ma si lìmita ad imitare, sicché l'òpera d'arte è azzeccata nella misura del suo èsito mimètico". In altri tèrmini, un'òpera sarebbe tanto più "bella" quanto più cogliesse e rappresentasse i segreti e le superfici della realtà/natura. Più radicale Plutarco che sulla scia platònica metafisicizzava il concetto di "mimesis" nell'asserzione che il "Bello" è tale non perché "bello" ma perché "ìmita" e "somiglia". Per l'estètica aristotèlica il "Bello" si poneva in rapporto alla capacità catàrtica dell'òpera stessa, la quale era bella se imitava non già le cose accadute ma le cose quali sarèbbero potute accadere: donde si vede il rilevante ampliamento d'orizzonte compiuto dallo Stagirita che siffattamente contempla la possibilità d'intervento della fantasìa nella dimensione artìstica.
Nel primo sècolo p.Ch.n. con accenti quasi romàntici l'Anonimo del "Sublime" additava il "Bello" nell'èstasi conseguita attraverso la concitazione e la passionalità; Plotino nell'ideale di cifra trascendentale e mìstica, cui il razionalismo aristotèlico di Tommaso d'Aquino attribuiva notoriamente tre requisiti: "integritas", "proportio" e "claritas". Nell'età rinascimentale il "Bello" era ritenuto strettamente connesso ad un progetto e ad una finalità pedagògici dell'òpera d'arte, intanto che nella posteriore època cartesiana e nella civiltà dell'Illuminismo l'arte era considerata tale in quanto la sua sfera fantàstica era fondamentalmente determinata e presieduta dall'attività ordinatrice della ragione: dall'ésprit de géométrie, e sono da valutare al propòsito le teorìe estètiche da Bacone a Boileau, da Pascal a Leibniz, da Baumgarten a Vico, etc...
La più clamorosa svolta del concetto di "Bello" fu impressa dalla civiltà romantica, nella quale il pensiero idealìstico non solo ridusse la filosofìa ad "ancilla" dell'arte (Schelling), capovolgendo in tal modo l'estètica razionalìstica dei sècoli dècimo sèttimo e dècimo ottavo, ma elevò l'òpera d'arte ad acme della vita spirituale (F.H.Jacobi, Schelling, F.Schleiermacher), o, più ancora, ad apparenza fìsica del Logos: ad espressione sensìbile dell'Assoluto (Hegel). Di poi in Italia Benedetto Croce specificherà che il "Bello" inerisce all'intuizione del Sentimento; Giovanni Gentile, al Sentimento stesso.... Con il crepùscolo dell'Idealismo e dei suoi affaticati epìgoni cade l'ultima definizione sistematica dell'Estètica e, dunque, del "Bello", dalla cui rifondazione, come s'accennava all'inizio, il miserando Novecento è rifuggito con una sorta di rabbioso "cupio dissolvi"...
A partire dalla metà del sècolo ventunesimo il "Bello" è stato registrato come realtà superflua, se non proprio indecente o aliena dal caràttere della poesìa. Non restava che sottoscrivere l'elementare principio formulato da Jacques Maritain: "Pulchrum est id quod placet", ovvero "è bello ciò che piace". Così il "Bello" precipitava in una pseudo categorìa assolutamente soggettiva che si rifrangeva empiricamente in infinite, disparatìssime e contraddittorie definizioni. Ad elìdersi l'une coll'altre.
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