martedì 16 ottobre 2012

XXXV) I sacri furori dell'Avanguardia

C'era una volta Darmstadt, amena cittadina tudesca nei pressi di Francoforte sul Meno. Fecero storia, e scàndalo, i suoi "Corsi estivi musicali ("Ferienkurse fuer internationale Neue Musik"), di cui èrano pontèfici màssimi compositori come Karlheinz Stockhausen, Johan Cage, Mauricio Kagel, Sylvano Bussotti, Olivier Messiaen, Luigi Nono, Luciano Berio, Gyorgy Ligeti: allora, negli anni Cinquanta, giòvini contestatori e dissacratori. Ed èrano affatto persuasi, loro, che il mondo, compreso quello dei suoni, fosse assoggettàbile alle utopìe per via rivoluzionaria. Darmstadt assurse per circa un quindicennio, tra il 1950 al 1965, a "tempio" ove la mùsica del passato pròssimo, da Wagner a Schoenberg, veniva inesorabilmente "smascherata" e dichiarata morta. Parola d'òrdine era "Sia fatta tabula rasa". Erano giòvini a Darmstadt, e perciò intransigenti e dogmàtici.

Gli è che questi musicisti, pur valentissimi, molti dei quali noverati dipoi fra i grandi del Novecento (a torto, a ragione?), si credèttero che l'arte potesse èsser assimilate al concetto illuminìstico di Progresso, o ad un ragionamento o sillogismo onde, poste alcune premesse, dovèssero di necessità discèndere alcune conseguenze. La premessa era che la sintassi dodecafònica, ancora legata alla matrice espressionista di "papà" Schoenberg, risultava irrimediabilmente esaurita: l'aveva sentenziato anche Pierre Boulez in un cèlebre artìcolo del 1952. La conseguenza: occorreva affidarsi all'insegnamento di uno tra i "figli" di Schoenberg, Anton Webern (l'altro era Alban Berg), che il linguaggio paterno aveva metamorfosato con lògica stringente in una sorta di pulvìscoli, di nùclei atòmici, da riordinarsi mediante un ferreo còdice d'impianto costruttivìstico, al cui interno l'espressività, il sentimento, il cuore (fetente, oscenìssima parola) èrano banditi.

La monarchìa assoluta di Darmstadt legiferava: "Ora la mùsica o è avanguardia o non è". Dirà anni appresso l'argentino Kagel che per principio a Darmstadt era affermato che il livellamento gerarchico dei dòdici suoni assumeva un significato polìtico: era un fatto di democrazìa dopo gli sconvolgimenti europei generati dalla dittatura nazi-fascista e dalla guerra. "Sottises", non molto dissìmili dalle asserzioni dei musicòlogi di fede nazista per i quali Beethoven era Beethoven perché tudesco, e il degenerato Schoenberg era tale perché ebreo.

Un novello sacro furore turbinò sui "Ferienkurse" all'arrivo dello statunitense John Cage e del teutonico Stockhausen. Momenti d'audace pionierismo, d'idoleggiamento iconoclàstico, che fecero indietreggiare lo stesso Theodor Wiesengrund Adorno, teòrico supremo della Neue Musik. Si discuteva d'opere commesse al Caso, di pura grafìa, d'interpretazione lasciata aperta dall'autore all'esecutore... E quanto più il pubblico extra moenia rimaneva esterrefatto, e si scandalizzava per la rabida provocazione di quella mùsica larvale, tanto più i darmstadttiani, chiusi in una turris eburnea, si stropicciavano gioiosi le mani per l'intrepidezza posta in campo, per la propria "verità" estètica risolta sul piano teòrico nella radicale negazione di qualsivoglia estètica.

Dall'iperrazionalismo all'irrazionalismo tout-court il passo era breve. Bussava alla porta la mùsica del silenzio. Fu Cage a (s)comporre quella "Sonata in tre movimenti per pianoforte" che imponeva all'intèrprete di sollevare e riabbassare il coperchio dello strumento rispettivamente all'inizio ed alla fine di ogni tempo, senza mai suonare una nota. E per imprimere un suggestivo paràmetro rìtmico al silenzio il compositore americano scrisse un pezzo consistente nel battere colpi di gong ad intervalli di tempo regolari per un lasso di tempo imprecisato. Accadde a New York che l'esecutore neòfita prese a battere il pomeriggio e non cessò che la mattina successiva...

Ma a Darmstadt l'Avanguardia sapeva provocare anche in altre trastullèvoli maniere. Mettiamo: poggiare sul pianoforte cubetti di legno, l'uno sopra l'altro, sino a che la torre non cadesse sulle corde verisimilmente suscitando nell'ascoltatore trasalimento non disgiunto da angoscia. Bussotti fu una sera l'interprete del "Concerto per solista e pubblico" di Stockhausen: il solista poteva impiegare un qualunque strumento, mentre il pubblico partecipava all'esecuzione dell'òpera appalesando le proprie schiette reazioni di fronte all'imprevedìbile performance del solista suddetto. Nàrrasi che il Bussotti seminascosto sul palcoscenico si cambiò i pantaloni, apparendo sfolgorante in velluto crèmisi. Tramàndasi che la reazione della platea fu intensa...

Nel secolo dècimo ottavo aveva notato il commendèvole scienziato svedese Carl von Linné che  "natura non facit saltus". Nel caso di Darmstadt il principio stava a significare quanto fosse improbàbile cimento recìdere il cordone ombelicale con la Tradizione.

Nessun commento:

Posta un commento