martedì 16 ottobre 2012

XXXIV) Carmen

Non sempre c'ha ragione Verlaine quando canta che "La chair est sainte! Il faut qu'on la vénère". Prendiamo ad esempio Carmen.

Carmen ha invaso e conquiso il mondo. Dìcesi che sia stata femminista ante litteram, e di quelle a tutto tondo: senza ubbìe o scrùpoli, anzi con ghiotto scandalo, come un fiotto di fatale parfum. E il mondo, almeno la metà, è oggi delle femministe: buon pro gli faccia. A trattare di questa corrusca "signorina" di fuoco - che mai volle passar per "signora" - si sono succedute esimie voci di letterati, musicisti, sociòlogi, filòsofi, pittori, crìtici a dir la loro che, comunque detta, è sempre stata d'ammirazione commovente ed eccitata. Protòtipo di vamp rubella e libertaria, non già alla Marylin, affatto coccolona, o delle sue colleghe affini, esuberanti mangiatrici d'uòmini e però in qualche modo timorate e saziabili, e in ogni caso addomesticate "ab origine" al sistema maschilista che le ha create per propria congènita necessità e lùdico sadismo. No. Carmen è sanza compromessi, d'un volto solo e monocromàtico, d'un'ingordigia sorda e monotemàtica. Ma, dopo aver ben ponderato, non è da esclùdere che tante lodi al di lei indirizzo sgòrghino da una propensione fanàtica, da un giudizio impulsivo e mìope.

 Carmen non è donna pensante bensì mero èssere agente, mosso da brame e arsioni viscerali che col pensiero e la libertà - ch'è figlia al pensiero - hanno poco o punto in comune. Anzi, il pensiero mai ricevette, se possìbile, più tosta batosta dall'agire donnesco. La "signorina" svola di maschio in maschio, frascheggiando annebbiata e avida come quelle bottiglie truccate che per quanto t'imbufalisci ad empire sono sempre vuote. Carmen, di pensiero vuota, lo è d'ogni altra cosa eccetto che della sua mulàggine sensuale. Dispregia con orgoglio lavare piatti, spolverare la mobilia, còcere due ova al tegamino, ma, meschinetta, prigioniera del suo minùscolo orizzonte non sa fare altro che tinnire, trillare, sgallettare smancerosa, sùccuba d'una fràgil foia che, forse, è pur finta nella sostanza.

Non già, dunque, la sigaraia feriale come fiero ideale d'emancipazione del sesso dèbole dall'atàvica sottomissione al crudele sesso barbuto; e del resto, neppure terrìbile magalda licenziosa e dongiovannesca alla Lulu, bensì siloetta imbizzita, che si scalmana contro ciò di cui non è in grado neppure d'èssere pietosa vìttima. Come donna poi è una frana. E quando strilla acìdula a quel disperato babbione di Don José: "Fra noi tutto è finito", mente sapendo di mentire, poiché una lògica elementare le insegna che non si dà fine ove non ci sia stato cominciamento, a che lei è impotente per irrimediàbile difetto di costituzione (di cui peraltro non ha colpa).

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