domenica 14 ottobre 2012

XIX) Apocalissi

Occorre un contenitore emotivo gigantesco onde assembrare senza dispersione la serrata sfilza di suggestioni che gràndinano dall'universo wagneriano. Gràndinano pietre preziose monumentali, frammenti di vestigia imponenti, sublimi trafitture liriche, fastosi effluvi di sensualità estenuata, lacerti di mitiche panoplie, brandelli di auto da fé e terrìfici olocausti. Se n'esce intrisi d'uno sconvolgimento estremo, e l'aria fresca che si respira appena al di fuori pare il sollievo della "miseria" che irride al lusso tremolante delle illusioni.
Wagner è uno di quei padri opprimenti cui devi riconoscere, dopo averli contestati con violenza, che sono dalla parte della ragione. La loro verità tuttavia non è soltanto gravosa: essi te la grìdano in faccia autoritariamente, e tu devi accettarla in toto altrimenti ti diserèdano: e se ti diserèdano ti senti òrfano, oltre che regredito ad uno stadio d'intolleràbile e colpèvole diseducazione.
Lo spìrito e il genio tedeschi sono peraltro avvezzi alle costruzioni smisurate quasi in ogni campo dell'umano, e in ogni època stòrica. Tuttavìa non si era mai data l'applicazione dello "sconfinato" al mesto canto di morte di una civiltà, quella del Romanticismo, nel tripudio di una Decadenza che ne celebra l'apocalissi e ne appronta vorace il rito fùnebre. Al confronto, il tramonto absbùrgico nella vicina terra austriaca appare un trastullo infantile, una "Daemmerung" diciamo "prima misura", tant'è che qui si bàllano distrattamente i valzer straussiani, giusto un poco immelanconiti (vezzi viennesi). Lì invece precìpitano rovinosamente schiatte di Dèi pravi e vizzi, avvinghiati a innocenti idealisti ed epicurei, ad eroi ed eroine sfiancati da terapìe e filtri demonìaci. I fumi che dilàgano e sàlgono dal ventre della terra verso l'universo s'illùminano dei lapilli eruttati dal Wahalla in fiamme. E non ostante la catàstrofe còsmica che atterrisce i nervi e prosciuga il sangue di chiunque vi assista soggiogato, ecco quella volontà del "cupio dissolvi", quella sarabanda dei sensi morsi dalla costrizione del dissolvimento. Tristano e Isotta? Morire è il meno che pòssano fare: non sono stati mìopi e meschini amanti bensì i ragionieri impeccàbili e regali di quel "tramonto".

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